La settimana dal 18 al 22 agosto 2025 è stata una delle più emblematiche dell’anno: non tanto per la mole di dati economici pubblicati, né per le tensioni geopolitiche che pure hanno dominato i titoli dei giornali, quanto per la dimostrazione plastica di quanto la comunicazione della Federal Reserve resti l’ago della bilancia dei mercati globali.
Il filo conduttore è stato la lotta tra due narrative opposte. Da un lato, la solidità dei dati statunitensi e le parole hawkish di alcuni membri della Fed, che hanno temporaneamente riacceso la prospettiva di tassi più alti per più tempo. Dall’altro, il messaggio di Jerome Powell, che dal palco di Jackson Hole ha spostato l’attenzione dall’inflazione al mercato del lavoro, riconoscendo il rischio di un indebolimento dell’economia reale. Una frase in particolare – l’impatto “di breve durata” delle tariffe sull’inflazione – ha avuto l’effetto di una bomba sul dollaro e sui Treasury.
Il risultato? Un dollaro che, dopo aver toccato i massimi settimanali giovedì, è crollato venerdì; valute G10 che hanno seguito la stessa altalena; un risk-on globale che ha spinto in alto azioni, bond e commodities.