La febbre dell'inflazione negli Stati Uniti sta lentamente calando, ma rimane ancora sopra la soglia ideale del 2%. Possiamo immaginare l'inflazione come la temperatura dell'economia: finché è elevata, la Federal Reserve (la Fed) è costretta a tenere alta la guardia (ovvero mantenere i tassi di interesse elevati); se invece scende, la banca centrale può tirare un sospiro di sollievo e iniziare ad allentare le cure monetarie.
Domani, 11 settembre 2025, è attesa la pubblicazione del nuovo indice dei prezzi al consumo (CPI) relativo ad agosto, e gli analisti di Wall Street hanno già il termometro alla mano. Le stime convergono su un lieve rialzo dell'inflazione annuale intorno al 2,9%, in aumento rispetto al 2,7% registrato a luglio. Si tratterebbe del valore più alto da gennaio di quest'anno, segno che la discesa dei prezzi ha rallentato la sua corsa. Anche l'inflazione core (che esclude alimentari ed energia) resterebbe elevata: circa +3,1% su base annua, essenzialmente la stessa di luglio (un livello che eguaglia i massimi dallo scorso febbraio). Una delle cause di questo recente colpo di coda inflazionistico è l'effetto dei nuovi dazi all'importazione decisi dal Presidente Donald Trump: tali tariffe, introdotte nel corso dell'anno, stanno venendo in buona parte trasferite sui prezzi al consumo, contribuendo a tenere l'inflazione sopra il target Fed del 2% (sebbene il ritmo dei rincari resti molto inferiore ai picchi post-pandemia).
